Là in fondo,
alla fine del parco,
appena dietro il cimitero,
erano fredde le tue cosce,
denso e madido
profumo di fiori morenti
riempiva le narici,
e al riparo della sottile nebbia
l’ultimo cigolio dei cancelli
diede voce al silenzio,
e nella spenta luce
tutto si dissolse
fra le tue mutandine,
e baciarti fu importante.
Ho visto un mare così genovese,
ligure, invernale, denso e alto,
superiore,
come ineffabile ala protesa,
e sulla battigia si faceva mano,
e le bianche dita parlavano
dicevano qualcosa,
i sassi, la sabbia rispondevano,
non è stato vano
ascoltare questo vento…
… e niente, ci fu una guerra mondiale, poi una seconda, era il ventesimo secolo e, bene o male, tutto sembrava procedere, forse perché pochi, anzi quasi nessuno si rendeva conto del terzo conflitto in corso, sommerso, esportato, nascosto, sottile, ingiusto, comunque si superò il ventunesimo, proprio quello del mille e non più mille, può darsi sia stato il sospiro di sollievo per lo scampato anatema, o più semplicemente disequilibri venutisi a creare fra le superpotenze, poche fra l’altro, una o due, poi tre, insomma si scatenò una specie di apocalisse, quella tanto temuta, chissà non ci fosse stato un errore di vent’anni, tutto può essere, o no? Il fatto è che un virus più o meno intelligente si insinuò fra le genti, tutti indistintamente, bianchi, rossi, gialli, simpatici e antipatici, era cominciato da una parte ma ebbe origine dall’altra che poi infettò anche la povera ma bellissima penisola in cui mi trovo, da qui, o da lì, di preciso non si sa, oppure sì, andò a nord, nei vecchi possedimenti romani, addirittura varcò gli oceani, insomma sto cercando di vederci chiaro, vai tu a capire che cazzo potrebbero inventarsi per distruggere quasi tutto e ricominciare a giocare, ma con chi? “Chi gioca in prima base, non te lo chiedo te lo sto dicendo. Chi gioca in prima base? Chi!”(*)
(*) Celeberrima comedy routine “Who’s on first” di Abbott & Costello (Gianni e Pinotto) rappresentata per la prima volta nel ‘36 al “Katie Smith Radio Hour” ripresa nel film “Rain Man” del 1988 interpretato da Tom Cruise e Dustin Hoffmann.
Never have I happened to dutifully
bend to succour a bee ailing
from its days, work done,
sacrifice of a whole life,
nor have I happpened to stumble
upon the remains of one dead because of old age,
illness, thus, I ask myself
where the cemetery of the worker bees might be,
so I might visit them.
And in observing the coming and going therein
I might try to understand, to speak to the guard,
at least find out where they come from, and why,
in the end thank them for the gift they bestow
upon us,
then go away in silence, cautiously,
careful not to tread
a blade of grass, a grave, a flower…
Mai m’è capitato di dovermi chinare
per soccorrere un’ape dolente
del peso dei giorni, del lavoro svolto,
sacrificio di un’intera vita,
e nemmeno è successo d’imbattermi
nei resti di qualcuna morta di vecchiaia, di malattia,
allora mi domando
dove possa essere il cimitero delle operaie,
andarle a trovare,
e nell’osservare l’andirivieni di quel posto
cercar di capire, parlare con i guardiani,
almeno sapere da quale luogo provengono, e perché,
infine ringraziare del dono che ci fanno,
poi allontanarmi in silenzio, con cautela,
facendo attenzione di non calpestare
neanche un filo d’erba, una tomba, un fiore…
Amore e morte
La sento così vicina, palpabile,
materia,
mi sta sempre accanto,
ci conosciamo,
abbiamo confidenza,
familiarità,
ne ho tale consapevolezza
che potrei esistere
mille anni ancora,
e più mille,
sempre cosciente
dell’invalicabile finitezza.
Perché incontrare lei,
insperato, unico amore,
da sempre sognato,
sarà apoteosi,
invenzione di inedito dolore,
tiepido, avvolgente terrore
di perderlo ancora.
Sarai vela, direzione,
orientamento,
finanche calore quando
avrà sopravvento
il mio ulteriore.
Nel fare il ritratto all’amico
del bar sotto casa,
mi viene da pensare
quanto lui sia adesso distante,
ed è inutile rispolverare la fisica dei grandi,
o compendi filosofici e teorie matematiche
per capire che tutto si risolve
nel silenzio di remoti pianeti,
e scivola bieco per strade deserte,
e mentre si aggrinfia tenace
alle grigie saracinesche lucchettate,
quest’assenza di suono e rumore
neppure è sfiorata dall’ala di un gabbiano,
e ci umilia imponendo sul nostro capo
l’assurda corona.
Mi stai ascoltando vero?
Perciò devo far presto,
io sono terra terra nei punti d’arrivo,
mai mi hanno convinto
le orazioni dei mostri sacri,
lascio che i fedeli si arrangino per loro conto,
non cerco alcun paradiso, il mio è qui, ora,
e mi manca, ho solo necessità di te,
farti capire che la dimensione
in cui siamo stati fiondati
non è più quella che ha generato il mostro,
impossibile porre riparo al prima,
ed è perciò che finito il ritratto
da tempo promesso in quel mondo,
alle tue segrete carni offrirò il mio viso,
per pregare il nuovo domani,
e il battesimo sarà fra i miei capelli,
le dolci dita delle tue mani.
Dario Rossi Speranza, 16 luglio 2018,
elogio inserito quale presentazione a
“PULSIONALE POESIA III MILLENNIO”
“2a Edizione – Vertigo Edizioni srl – Roma
Mauro, sei proprio una cara persona, ricca di risorse e sorprese, come non volerti bene, il tuo magma intellettuale si auto produce senza pause in gran profusione e così accade che la tua copiosa messe venga giù come un fiume carsico che filtra in ogni dove e non conosce ostacoli. In questo tuo precipuo tratto ti vedo, se me lo concedi, molto somigliante nell’impeto, nel volume, nel massivo impatto e nella “follia” al geniale padre di Zarathustra, novello Nietzsche postmoderno, anche alquanto nichilista ed esistenziale, con il quale condividi la gran Virtù di scrivere argomentare e produrre Senso anche “senza pensare” come confessava alla sua rigorosa Coscienza il gran pensatore di Röcken. Ma non sarò certo io a censurarti nella tua iperattività caro amico mio, perché noi siamo involontari complici nell’aggressione totale ai Saperi ed alla Conoscenza. Siamo troppo simili per non sostenerci a vicenda sino all’ultima strenua parola immagine o pensiero! Anche se il Filosofo asseriva che “nessuno è perfezione”, noi tendiamo sovente a quella, la lambiamo pericolosamente e siamo costantemente molestati dal suo pensiero. Ma non per nutrire scioccamente i nostri rispettivi Ego, giammai potremmo essere vanagloriosi o peggio narcisi, ma solo per rendere più fruibile ed allettante la nostra produzione e per sopravvivere a noi stessi provando a vincere la Caducità dell’Essere, dell’Esistere e delle Cose tutte attraverso la Ricerca senza tregua nella Bellezza, Verità e Conoscenza Universale, che da Forma incolore senza consistenza quale oggi noi siamo si traduca in Essenza primigenia di ogni inizio, a dispetto di quel Dio troppo assente nella drammatica Vicenda Umana…
Dario Rossi Speranza, New York/Milano for Mauro Giovanelli.
Maybe I should have said something when, in a low voice you indicated, carefully, honey remember that I am still of child-bearing age, not for any other reason, you know, it is just that such a fickle word makes me think, a word uttered in a different way, and for a different reason, and the adverbs still and again do not arrest time, they invoke it, and it is an imperative while your legs imprison me with strength never experienced before, and the instant you push with your pelvis to make yourself a recipient, still anchored to each other, we are a sounding line of this immense sea.
Forse avrei dovuto dire qualcosa quando, con fil di voce, stai attento amore, ricorda che sono ancóra fertile. Mica per altro sai, è quell’incostante vocabolo che mi fa pensare, parola detta in diverso modo, e differente causa, e l’avverbio non ferma il tempo, lo invoca, ed è imperativo mentre le tue gambe m’imprigionano con inaudita forza, e l’attimo che col bacino spingi nel farti coppa, noi, l’un l’altra ancoràti, siamo scandaglio di questo immenso mare.
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